Alive in France

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Abel Ferrara è un regista, sceneggiatore, attore e cantante che ha sempre vissuto rifuggendo da ogni convenzione diventando, paradossalmente, il più convenzionale dei trasgressori. Il documentario Alive in France, distribuito da Mariposa Cinematografica, ne vorrebbe incorniciare la carriera ma ne tratteggia, al contrario, una parabola discendente.

Ci chiediamo: quale può essere il valore aggiunto di un’operazione mediatica che segue il tour musicale in Francia di questo personaggio vulcanico, eclettico, eccessivo, originale ma privo di glamour?

Dopo avere diretto film underground (senza trascurare nemmeno il genere porno) ora Abel Ferrara si diverte a cantare dal vivo le canzoni che ne costruirono il tappeto sonoro. La stessa band che lo accompagna è formata dai fidi musicisti che le hanno composte. Come dice lui stesso: se avesse potuto contare su budget milionari avrebbe utilizzato le canzoni dei Rolling Stones ma, stante una situazione differente, ha dovuto rimediare componendo “in casa” la musica stessa.

Joe Delia è il compositore col maggior numero di collaborazioni cinematografiche con Abel Ferrara ed è senz’altro il leader artistico della band. Le varie tappe del loro tour musicale prendono vita in angusti locali francesi, spesso claustrofobici. La fotografia, giocoforza cupa, ammalia ed affascina ma solo per i primi minuti. A lungo andare stanca sia la vista che l’udito.

Nonostante la vaga somiglianza del rugoso Joe Delia con Mick Jagger, siamo ben lontani dal carisma sprigionato dai Rolling Stones, pur tanto amati da Ferrara.

Il siparietto della ricerca del batterista è forse l’elemento più curioso dell’intero documentario; non importa se si tratti di un episodio vero o studiato a tavolino. In fin dei conti è apprezzabile la schiettezza con cui Ferrara si auto-dipinge sia negli incontri con la gente per strada sia durante i concerti. Appare sempre per quello che è, senza nascondersi dietro ad una maschera buonista. È pur sempre un personaggio senza compromessi, crudo, sanguigno, grezzo e diretto. Anche la dura reazione della sua band agli insulti rivolti loro da una ragazza ubriaca dimostra la volontà di non nascondere vizi e debolezze sia del pubblico che degli artisti.

Solo la tenerezza di Ferrara nella veste di “pater familias” riesce a mitigare l’immagine dell’artista che arriva dal Bronx e cresciuto a pane e whisky. Questa parentesi familiare spezza, per un attimo, le atmosfere dark delle notturne luci psichedeliche e funge da intermezzo tra il backstage e le performance sul palco.

Gli storici estimatori di Ferrara potranno apprezzare la versione rock di questo regista non allineato mentre coloro che non lo conoscevano potranno riscoprire la sua filmografia tanto “off” e trasgressiva. Riconosciamo (solo) questo merito al docu-film in questione.

Dopo essere stato presentato al 70° Festival di Cannes, Alive in France uscì sugli schermi italiani per soli quattro giorni: dal 19 al 22 di maggio 2019.

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