Un figlio all’improvviso – la recensione
Un figlio all’improvviso è una commedia franco-belga diretta a quattro mani da Vincent Lobelle e Sébastien Thiéry. Ha debuttato in Francia a dicembre 2017 ottenendo un discreto successo, pur senza sfondare, ed è approdato in Italia a settembre 2018. In poco meno di novanta minuti si dipana una vicenda semplice ma da gustare con piacere.
André e Laurence formano una coppia ben collaudata. Vivono senza problemi in un quotidiano regolare e abitudinario. La monotonia subisce una brusca battuta d’arresto nel momento in cui si imbattono in uno sconosciuto: Patrick ovvero un quarantenne, sordo, che si autoproclama figlio loro. Questo evento inaspettato e dirompente scuote la vita della coppia rompendo i collaudati e pluriennali equilibri. André non accoglie con particolare entusiasmo la notizia anche perché sua moglie è sterile. È facile intuire che gli eventi prenderanno una piega di difficile gestione per gli impreparati neo-genitori.
La sceneggiatura è tratta da un testo di origine teatrale ed è interpretata da un cast di attori sopraffini. Il caratterista Christian Clavier, con quella faccia un po’ così, e Catherine Frot sono coniugi credibili. Patrick è interpretato dallo stesso co-regista Sébastien Thiéry.
Una raffinata commedia degli equivoci può comunque elargire spunti di profonda riflessione su temi socialmente importanti. Il format di film “leggero” è limitante ma si è riusciti ugualmente a stuzzicare l’attenzione puntando l’indice su temi di importanza primaria. Il primo elemento di riflessione riguarda il modo in cui può essere affrontata una disabilità. Se sottoposto a prove pesanti, anche il “dorato” mondo di chi conduce un’agiata vita borghese può esprimere atteggiamenti non proprio politicamente corretti. Da sopite frustrazioni possono nascere pregiudizi verso il prossimo; soprattutto nel momento in cui il tranquillo incedere della routine viene scosso dal confronto con chi ha pesanti problemi da affrontare.
Un altro tema sfiorato è relativo all’universo femminile. Chi, per scelta o per necessità, accantona il naturale istinto di maternità dedicandosi totalmente al lavoro può scoprire, prima o poi, di avere lasciato un vuoto che, presto o tardi, può ripresentarsi alla porta. In questo caso la scelta è obbligata e a suonare il campanello non è una metafora ma un uomo in carne e ossa. L’arrivo di Patrick risveglia in Laurence il desiderio profondo di essere chiamata mamma e riesuma un fantomatico passato di suo marito André.
Il tono leggero da commedia non permette di approfondire nessuna di queste tematiche; i delicati tasti vengono solo sfiorati e non premuti con decisione. Non si denunciano problematiche, ci si limita ad evidenziarle. In definitiva siamo di fronte ad un film che risulta confezionato ad arte ma che non regala nulla di più né di nuovo rispetto a molti altri già visti e rivisti. Diverte con arguzia per poi scivolare velocemente in un’anonimo bagno di buonismo. Non lascerà nessun segno per i posteri.
VOTO: 6