Red Zone – 22 miglia di fuoco

Red Zone – 22 miglia di fuoco

Red Zone

Il regista Peter Berg e l’interprete Mark Wahlberg sguazzano nel genere action con lo stesso piacere delle carpe giapponesi nei laghetti di Osaka. Il paragone è impertinente ma calzante. Il loro sodalizio ha sfornato numerosi film negli ultimi anni: Lone Survivor, Deepwater – Inferno sull’oceano e Boston – Caccia all’uomo. Tutti e tre sono incentrati su eventi realmente accaduti e restano guardabili con piacere. Questa volta, però, il fucile automatico della coppia Berg/Wahlberg si è inceppato.

Red Zone – 22 miglia di fuoco (Mile 22) non è per niente all’altezza dei titoli precedenti. Il suo peccato originale è quello di avere richiamato mille spunti da altrettanti film senza essere minimamente riuscito ad uguagliare la loro forza e intensità. Per esempio, troviamo riferimenti a Shooter di Antoine Fuqua, Black Hawk Down di Ridley Scott, lo stesso Lone Survivor, Solo 2 Ore di Richard Donner e perfino qualche tentativo di avvicinamento a capolavori come American Sniper di Clint Eastwood o The Hurt Locker di Kathryn Bigelow. Tutti gli accenni, richiami o citazioni che dir si voglia ai film menzionati sono sterili e improduttivi; non portano beneficio né alla storia raccontata né alla qualità in generale.

La regia di Berg tenta di compensare lo scarso appeal della sceneggiatura con un esasperato abuso dei classici strumenti da film action. Le immagini traballanti della “camera a mano” e il montaggio schizofrenico sono accettabili per rimarcare i momenti più concitati ma a lungo andare diventano terribilmente fastidiosi.

La storia è semplice. Siamo in una metropoli del sudest asiatico. In un gioco di spionaggio e controspionaggio, è necessario scortare in fretta un misterioso personaggio dall’ambasciata americana all’aeroporto. Non sarà cosa facile perché i servizi segreti di mezzo mondo ostacoleranno questa operazione.

Nel cast si apprezza la presenza di un mostro sacro come John Malkovich anche se la sua interpretazione si perde nella pochezza del racconto generale.

Troviamo ineccepibili le sparatorie, le esplosioni e gli inseguimenti ma siamo incontentabili e vorremmo anche qualcosa di più. Per un corpo in salute non basta avere uno scheletro; servono anche muscoli, nervi, organi vari e, soprattutto un’anima. Per questo motivo il film non raggiunge la sufficienza. Anche Forrest Gump sarebbe rimasto deluso da una bella scatola di cioccolatini… ma vuota.

La novità introdotta rispetto agli altri film di guerra moderna è la ricerca del cosiddetto gender balance. L’intenzione è apprezzabile ma il risultato, in questa occasione, non convince. Agenti donna sono protagoniste, insieme ai colleghi uomini, nei ruoli operativi. Anche i compiti più muscolari, in pieno teatro di guerra, le vedono in azione con armi automatiche e bombe a mano. Umanamente può essere realistico ma cinematograficamente, in questa occasione, non funziona del tutto. Ben migliore l’equilibrio raggiunto da altri film come quelli sull’agente Jason Bourne.

Per concentrare il nostro giudizio con un voto secco, siamo disposti ad eseguire un’operazione matematica. Come qualità artistica nel suo complesso gli avremmo riconosciuto uno zero ma concediamo la sufficienza all’aspetto tecnico delle numerose scene d’azione. Calcoliamo la media aritmetica e il risultato è un generoso 3.

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