Due sorelle, Eurídice e Guida, vivono a Rio De Janeiro in un’epoca in cui l’istituzione “famiglia” é caratterizzata da un forte senso di patriarcato; siamo negli anni ’50. Fin dall’inizio ci vengono forniti gli elementi predittori riguardo alla direzione verso cui siamo diretti. Quella battuta sibillina (pronunciata nella primissima scena) “Vieni, sta per piovere” sembra preludere chiaramente ai profondi cambiamenti non solo climatici ma anche sociali che le giovani donne stanno per affrontare – o meglio – subire. Il percorso sarà lungo e periglioso ma ben raccontato da uno “script” che presenta pochi difetti. Stiamo parlando del film La vita invisibile di Eurídice Gusmão, diretto da Karim Aïnouz e basato sull’omonimo romanzo di Martha Batalha. Dopo avere vinto nella sezione Un Certain Regard dell’ultimo Festival di Cannes, é uscito nelle sale italiane il 12 settembre 2019 distribuito da Officine UBU. I personaggi cardine dell’intero melodramma sono interpretati da Carol Duarte e Julia Stockler. Sono due sorelle molto unite e volitive, dai caratteri assai diversi, che si ritrovano a dover soccombere davanti all’inflessibilità di un padre/padrone il quale non accetta intemperanze né ribellioni nei riguardi dei rigidi dettami dell’atavica tradizione. Entrambe hanno ben chiaro ciò che desiderano ma vivono in un contesto socio-culturale che schiaccia il sesso femminile relegandolo ad un ruolo marginale. L’uomo é colui che decide e che regge le sorti della famiglia. La donna vive tra le mura domestiche, si concede al marito (quando richiesto), si occupa delle pulizie, della cucina e nulla di più. Ogni elemento che tende a scardinare questo status quo deve essere prontamente soppresso. A causa dell’istinto di ribellione di Guida, la famiglia sta per subire una drastica trasformazione. Il padre decide di separare le sorelle ripudiando e misconoscendo una delle due. Le donne, caparbie, non si arrendono al truce destino e combattono come possono contro la tradizione, la storia e le consuetudini ma con scarso successo. Siamo di fronte ad un melò che richiama forme e modi della cinematografia di un tempo. Dramma e passione (intesa in tutti i suoi numerosi significati) vengono raccontati con un occhio molto attento all’uso dei colori e della luce. Ogni scena viene sottolineata in maniera interessante con un evidenziatore specifico; nulla sembra lasciato al caso.
La struttura narrativa segue un andamento regolare, in perfetto ordine cronologico, e fluisce con piacere fino ad un finale che, purtroppo, é facilmente prevedibile. Quest’ultimo è proprio il difetto maggiore del film.
Un’epopea famigliare che parte dal 1950 per snodarsi negli anni successivi tra drammi, lacerazioni, prepotenze e prevaricazioni. Coinvolgente, nonostante il ritmo pacato, e scorrevole. Una visione piacevole.
Il Brasile ha scelto questo film come candidato per la cinquina d’oro dell’Oscar 2020. Tra pochi mesi sapremo se l’Academy lo avrà inserito nella lista ristretta per la categoria di miglior film in lingua non inglese.