Hai ancora quel vecchio peluche sgualcito nascosto da qualche parte in casa? Quello con l’orecchio mezzo strappato, il pelo consumato e quell’odore indefinibile che sa di infanzia e sicurezza. Magari non lo tiri fuori quando gli amici vengono a cena, ma ogni tanto – dopo una giornata particolarmente pessima o quando ti senti solo – ti ritrovi ad abbracciarlo prima di addormentarti. E subito parte il dubbio: “Ma che sto facendo? Ho trent’anni e dormo con un pupazzo. Sono normale?”
Spoiler: sì, sei assolutamente normale. Anzi, la psicologia ha addirittura un nome per quello che stai facendo, e non ha nulla a che vedere con l’essere immaturi. Benvenuto nel club degli oggetti transizionali, un fenomeno che tutti abbiamo vissuto da bambini e che molti di noi continuano a sperimentare da adulti, spesso senza neanche rendersene conto.
Cosa sono gli oggetti transizionali e perché ne abbiamo bisogno
Facciamo un salto indietro negli anni Cinquanta per parlare di Donald Winnicott, pediatra e psicoanalista britannico che ha cambiato il modo in cui capiamo lo sviluppo dei bambini. Winnicott si è accorto che praticamente tutti i piccoli umani, a un certo punto del primo anno di vita, sviluppano un attaccamento fortissimo verso un oggetto specifico: una copertina, un peluche, un cuscino, persino un pezzo di stoffa sgualcito.
Questo oggetto non è un semplice giocattolo. È uno strumento psicologico che il cervello del bambino usa per gestire una delle sfide più toste della vita: capire che la mamma non è parte di lui, ma una persona separata che può andare via e poi tornare. Terrificante, se ci pensate dal punto di vista di un bambino di otto mesi.
L’oggetto transizionale diventa quello che Winnicott chiamava il primo “non-me”. È qualcosa che sta a metà strada tra il mondo interno del bambino e la realtà esterna. Quando la mamma esce dalla stanza, quell’orsetto diventa una sorta di “mamma portatile”, un ponte che aiuta il piccolo a non andare nel panico totale. Il cervello trova un hack perfetto per gestire l’ansia da separazione.
Il segreto sta nella memoria associativa. Quando sei bambino e abbracci quella copertina mentre ti addormenti, il tuo cervello crea connessioni fortissime: oggetto uguale sicurezza uguale calma uguale sonno tranquillo. Ogni volta che questa sequenza si ripete, quei circuiti neurali si rafforzano sempre di più. L’oggetto transizionale funziona proprio come regolatore emotivo, specialmente nei momenti di separazione e durante l’addormentamento.
Perché continuiamo a usarli da adulti
Ecco dove la storia diventa davvero interessante. L’oggetto transizionale non ha una data di scadenza prestabilita. Non c’è scritto da nessuna parte che dopo una certa età devi buttarlo via e diventare improvvisamente un adulto freddo e distaccato che non ha bisogno di niente e nessuno.
L’utilità degli oggetti transizionali non è affatto limitata all’infanzia. In adolescenza e in età adulta, il nostro cervello può continuare a cercare – o riscoprire – questi ancoraggi emotivi, soprattutto nei momenti di stress, cambiamento o vulnerabilità. La differenza è che da adulti questi oggetti possono trasformarsi.
Non è detto che sia lo stesso peluche di quando avevi cinque anni, anche se per molti è proprio così. Potrebbe essere un cuscino particolare senza cui proprio non riesci a dormire, quella felpa consumata che metti sempre quando stai male, un portafortuno che ti porti ovunque, o persino – tenetevi forte – il tuo smartphone.
Lo smartphone: il nuovo peluche della generazione digitale
Pensateci un secondo: quante volte avete sentito quell’ondata di ansia quando non trovate il cellulare? Quel momento di panico quando la batteria è al tre percento e non avete un caricatore? L’impulso irresistibile di controllarlo appena svegli e come ultima cosa prima di dormire?
Non è solo dipendenza da social media. Da un punto di vista psicologico, lo smartphone è diventato per moltissimi adulti l’oggetto transizionale perfetto dei nostri tempi. Ci connette al mondo proprio come la copertina ci connetteva alla mamma, ci fa sentire meno soli, ci dà un senso di controllo sulla realtà. È sempre lì, sempre disponibile, sempre pronto a rassicurarci che non siamo completamente isolati dall’universo.
Ricercatori come Sherry Turkle hanno studiato proprio questo fenomeno del nostro attaccamento emotivo alla tecnologia, notando come gli smartphone siano diventati oggetti di cui letteralmente non riusciamo a fare a meno, non solo per funzionalità pratiche ma per bisogni emotivi profondi.
Quando è normale e quando invece dovrebbe preoccuparci
La domanda da un milione di euro: dormire ancora con il peluche dell’infanzia da adulti è ok oppure è il momento di chiamare uno psicologo? La risposta breve è: dipende da come lo fai e perché.
Conservare e usare occasionalmente un oggetto dell’infanzia – la famosa “copertina di Linus” per intenderci – non è di per sé un problema. Anzi, può essere una risorsa emotiva preziosa, un modo sano di prendersi cura di sé nei momenti difficili. La differenza cruciale sta nella flessibilità.
Usare l’oggetto quando ne hai bisogno, trovare conforto in esso, ma non essere completamente dipendente è perfettamente normale. Puoi dormire anche senza, magari non altrettanto bene, ma ce la fai. Puoi lasciarlo a casa quando parti per un viaggio senza entrare in crisi esistenziale.
I campanelli d’allarme suonano invece quando l’oggetto diventa l’unica fonte di conforto possibile, quando la sua assenza scatena un’ansia paralizzante, o quando sostituisce completamente le relazioni umane. Se ti ritrovi a rifiutare opportunità di vita perché non puoi portare il tuo oggetto con te, o se preferisci stare isolato con il tuo peluche piuttosto che costruire relazioni con altre persone, allora sì, potrebbe essere il momento di parlarne con un professionista.
Cosa succede nel cervello quando abbracci quel vecchio orsacchiotto
Ma cosa succede esattamente nel tuo cervello quando abbracci quel vecchio peluche? La risposta ha a che fare con la memoria emotiva e il sistema limbico, quella parte antica del cervello che gestisce emozioni e ricordi.
Quando eri piccolo, il tuo cervello ha creato associazioni potentissime tra quell’oggetto e stati di calma, sicurezza e protezione. Ogni volta che lo abbracciavi e ti sentivi meglio, quei circuiti neurali si rafforzavano. Con gli anni, quelle connessioni non svaniscono: rimangono archiviate, pronte a riattivarsi.
Quando da adulto attraversi un periodo complicato – un lutto, una rottura sentimentale, problemi sul lavoro, solitudine – il tuo sistema di regolazione emotiva cerca strategie per gestire il disagio. E improvvisamente si “ricorda” di quell’oggetto che funzionava così dannatamente bene vent’anni fa. Non è regressione infantile: è il cervello che usa intelligentemente le risorse che ha a disposizione.
L’odore conta più di quanto immagini
C’è un motivo preciso per cui tanta gente si rifiuta categoricamente di lavare il proprio peluche o la propria coperta dell’infanzia. L’olfatto è il senso più direttamente collegato alle strutture cerebrali della memoria emotiva. Un odore familiare può richiamare istantaneamente sensazioni e ricordi sepolti da decenni.
Quel particolare profumo del tuo vecchio orsetto – un mix di tessuto invecchiato, casa, forse tracce del profumo che usava tua madre – è un potente trigger sensoriale che attiva immediatamente i circuiti neurali legati alla sicurezza. Le ricerche sulla memoria olfattiva hanno dimostrato quanto gli odori siano collegati in modo diretto alle emozioni e ai ricordi d’infanzia, molto più di qualsiasi altro senso.
Gli oggetti transizionali nascosti della vita adulta
Una delle cose più affascinanti di tutto questo è che moltissimi adulti hanno oggetti transizionali senza neanche saperlo. Semplicemente non li chiamiamo così, li razionalizziamo in modi che suonano più “da grandi”.
Dimmi se qualcuna di queste situazioni ti suona familiare:
- La tazza del caffè “portafortuna” che usi sempre prima di riunioni importanti
- Quella maglietta specifica che indossi quando ti senti giù di morale
- Il cuscino che devi assolutamente portarti dietro in viaggio perché altrimenti non dormi
- La collana che era di tua nonna e che tocchi ogni volta che sei nervoso
- Persino quel percorso particolare che fai sempre per andare al lavoro perché ti fa sentire al sicuro
Tutti questi sono, a loro modo, oggetti o rituali che svolgono una funzione transizionale. Funzionano esattamente come quel peluche dell’infanzia: creano un ponte tra il tuo mondo interno e la realtà esterna, ti danno un senso di continuità e controllo, regolano le tue emozioni nei momenti di incertezza. In età adulta gli oggetti transizionali possono assumere forme nuove e insospettabili, mantenendo però sempre la stessa funzione psicologica di base.
Perché ci vergogniamo tanto ad ammetterlo
Se tutto questo è normale e ha perfettamente senso dal punto di vista psicologico, perché così tante persone si vergognano da morire ad ammettere di dormire ancora con un peluche o di avere questi attaccamenti? La risposta sta nelle aspettative culturali su cosa significhi “essere adulti”.
La nostra società venera l’indipendenza assoluta, l’autosufficienza totale, la razionalità a tutti i costi. Ammettere di aver bisogno di un oggetto per sentirsi sicuri viene percepito come una confessione di debolezza o immaturità. È lo stesso motivo per cui gli uomini, in particolare, fanno ancora più fatica ad ammettere queste cose: c’è uno stigma culturale aggiuntivo legato alla mascolinità “vera” che “non ha bisogno di niente e nessuno”.
Ma questa narrazione è tossica e francamente dannosa. Avere bisogno di conforto non è debolezza, è essere umani. La capacità di riconoscere i propri bisogni emotivi e di soddisfarli in modi sani è, paradossalmente, un segno di maturità psicologica, non di infantilismo.
Abbraccia pure quel peluche senza sensi di colpa
Dopo tutto questo viaggio nella psicologia degli oggetti transizionali, arriviamo al punto: se dormi ancora con il peluche dell’infanzia, se hai una coperta speciale che ti fa sentire protetto, se c’è un oggetto particolare che ti aiuta a gestire lo stress, non c’è assolutamente niente di sbagliato in te.
Non significa che non sei cresciuto. Non indica automaticamente che hai “problemi con tua madre” o traumi irrisolti. Significa semplicemente che il tuo cervello ha trovato una strategia efficace, a basso costo e non dannosa per regolare emozioni difficili. L’oggetto transizionale non ha un limite preciso di età e la sua utilità va oltre l’infanzia. Può diventare un alleato prezioso per superare momenti difficili, gestire lo stress o sentirsi più sicuri.
Gli oggetti transizionali, che si tratti del peluche sgualcito dell’infanzia o dello smartphone che controlli compulsivamente, sono testimonianze del nostro bisogno profondamente umano di connessione, continuità e sicurezza. Non sono necessariamente stampelle psicologiche da abbandonare appena possibile, ma strumenti che, usati in modo flessibile, ci aiutano a navigare la complessità emotiva dell’esistenza.
Quindi la prossima volta che abbracci quel vecchio orsetto prima di addormentarti, non sentirti in imbarazzo. Stai semplicemente usando uno degli strumenti più antichi e naturali che gli esseri umani hanno sviluppato per prendersi cura di se stessi. In un’epoca di ansia dilagante, stress cronico e disconnessione sociale, strategie di conforto non dannose come questa possono essere un tassello importante del tuo benessere psicologico. E se qualcuno ti giudica? Probabilmente anche loro hanno le loro stranezze e i loro oggetti speciali, solo che non hanno ancora il coraggio di ammetterlo.
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