Still Life di Uberto Pasolini vede come protagonista assoluto Eddie Marsan nei panni di un impiegato comunale: John May. La storia è quella di un uomo semplice. Un uomo senza una famiglia. Un uomo che ama il suo umile lavoro. Un uomo buono, discreto, sensibile, metodico, ordinato, compunto. Verrebbe da dire “alla vecchia maniera”. Un compito, il suo, che in pochi sarebbero disposti ad accettare, eppure il Sig. John May lo prende molto sul serio: deve frugare tra gli effetti personali di chi è appena deceduto senza che nessuno ne reclamasse la scomparsa. Deve indagare per stanare qualche parente ed informarlo dell’avvenuto decesso. Spesso la ricerca risulta vana ma May organizza comunque un funerale perfetto, quantomeno rispettando le usanze e la religione del deceduto. Non importa se lui stesso sarà l’unico presente alle esequie, come avviene quasi sempre; ciò che importa è solo il rispetto delle volontà del deceduto. Dopo ventitrè anni di scrupoloso servizio, May viene licenziato perchè ritenuto “troppo lento” ma non rinuncia a portare a termine il suo ultimo incarico. E’ determinatissimo a trovare qualche straccio di parente di Billy Stoke, un uomo solitario deceduto proprio nella palazzina di fronte a casa sua. Questa indagine sarà illuminante e assumerà i contorni di un viaggio iniziatico. Il film ha vinto il premio come miglior regia nella sezione Orizzonti alla settantesima Mostra del Cinema di Venezia ed anche numerosi altri riconoscimenti internazionali. Una storia tenera dai contorni lineari. Un’introspezione negli animi delle persone solitarie (per scelta o per necessità). Un film a basso costo che mira a riflettere sulla condizione umana di chi rimane in penombra. Nella società in cui conta solo “apparire”, Uberto Pasolini mette in scena il trionfo dell’uomo trasparente. Colui che rimane ligio al dovere e guarda alle persone seguendo il suo cuore. Quell’uomo di cui nessuno si accorgerebbe in condizioni normali. Un film da guardare con gli occhi ma da percepire con l’anima.
Voto: 7-