Con Made in Italy, Luciano Ligabue firma la sua terza regia cinematografica con uno stile riconoscibile e distintivo. Quasi un marchio di fabbrica. Proprio quella fabbrica (anzi, salumeria) in cui lavora Riko per guadagnarsi uno stipendio da milleduecento euro al mese. Un lavoro, una moglie e un figlio ovvero una famiglia media italiana. Una “vita da mediani”. Un tema molto caro al Liga che è nato e cresciuto in provincia di Reggio Emilia. È proprio in quei luoghi che ha scelto di ambientare e girare il film. La trama è lineare, senza fronzoli ma composta in maniera originale. La struttura della narrazione risente della sua origine. Ispirato dall’omonimo “concept album” del rocker di Correggio, il racconto procede quasi per quadri; come se ogni scena fosse una canzone del disco. Stefano Accorsi e Kasia Smutniak sono a loro agio nei ruoli di marito e moglie in un contesto di provincia. Gioie (poche) e dolori (molti) in famiglia, sul lavoro e nei rapporti tra amici. Nonostante tutto, i protagonisti affrontano le difficoltà cercando di non venirne sommersi. Non supereroi ma esseri umani, formichine, pazienti esistenze che si sforzano di superare gli infausti eventi quotidiani. La formazione sociale e politica di Luciano Ligabue si palesa lungo tutto lo scorrere del racconto e non manca, a tratti, di cadere nella retorica e luoghi comuni. Non è certo un film perfetto ma la genuinità e la mancanza di pretenziosità lo rendono comunque godibile fino alla fine.