La regola del silenzio (The Company you keep) di Robert Redford con lo stesso Robert Redford insieme a Shia LaBeouf, Nick Nolte, Brit Marling, Stanley Tucci, Chris Cooper, Terrence Howard, Anna Kendrick, Brendan Gleeson, Sam Elliott, Julie Christie, Jackie Evancho, Richard Jenkins e Susan Sarandon. Il film venne presentato fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2012. A Redford non manca certo l’esperienza per confezionare un’attraente opera di intrattenimento. Esteticamente e tecnicamente tutto è a posto. Attori di enorme caratura (ma Shia LaBeouf proprio non funziona) e maestranze adeguate hanno permesso la costruzione di un prodotto commerciabile. La sceneggiatura, però, zoppica mentre la regia ha lo scopo non già di presentare un’opera di pregio artistico bensì soprattutto politico. L’incipit mostra Sharon Solarz (Susan Sarandon) come casalinga e madre di famiglia che si ferma a fare il pieno di benzina in un giorno come un altro quando improvvisamente arrivano le auto della polizia a sirene spiegate e la arrestano per un reato commesso trent’anni prima. All’epoca della Guerra in Viet-Nam, la Solarz era parte di un gruppo di pseudo-pacifisti che protestavano contro le iniziative del Governo. In realtà erano pacifisti ma non pacifici. Le proteste erano degenerate in atti di vero terrorismo con bombe e rapine (una delle quali sfociata anche in omicidio). Nessun membro di quell’organizzazione era ancora stato trovato e, quindi, arrestato ma questo risulta davvero difficile da digerire (nemmeno fossero stati boss della mafia). L’avvocato Jim Grant (Redford) ha una figlia di undici anni e questo è già un mezzo paradosso visto che l’attore è quasi ottant’enne. Un giovane giornalista (LaBeouf) scopre in sole due mosse ciò che l’FBI sta cercando da 30 anni e cioè che Grant in realtà è un altro membro del gruppo ex-protestatore. Gli bastò cambiare nome per non essere rintracciato dalla Polizia. Con questo siamo già a tre dettagli indigesti. Il sunto è che la Polizia, braccio destro del governo, viene dipinta come incapace e inetta mentre gli ex-rivoluzionari sono tutti “ingiustamnte” braccati e costretti a vivere in clandestinità per non finire in carcere. Uno scarno colpo di scena finale, per la verità piuttosto telefonato, ha il solo scopo di tirare le fila del discorso e concludere in qualche modo la vicenda.
Voto: 6-