“Il Signore delle formiche verrà etichettato come il film del caso Braibanti ma è di più. È una grandissima storia d’amore tra un uomo e un ragazzo. Una storia autobiografica; molto autobiografica”. Queste sono le precise parole pronunciate dal regista Gianni Amelio durante la conferenza stampa di presentazione del suo ultimo film alla Mostra del cinema di Venezia 2022. Ed è un film di cui, siamo sicuri, si parlerà a lungo per mille motivi. Siamo a metà degli anni sessanta. Nella civile Europa esistevano paesi, come l’Inghilterra, in cui l’omosessualità era ancora un reato penale mentre in Italia era considerata “solo” una malattia da curare con metodi brutali come l’elettroshock. La società evitava con cura di pronunciare anche la parola “omosessuale” perchè ritenuta talmente scandalosa da dover essere cancellata completamente dal parlato comune. Il Signore delle formiche è liberamente tratto dalla storia vera del processo celebrato contro Aldo Braibanti, un regista teatrale e sceneggiatore, un intellettuale e mirmecologo (studioso delle formiche). L’accusa elevata contro Braibanti era quella di plagio nei riguardi di un ragazzo neomaggiorenne, suo allievo. Un’accusa pretestuosa che ne nascondeva un’altra molto più grave e talmente oscena da non poter essere in alcun modo menzionata: omosessualità. Il giovane allievo fu considerato affetto da una malattia mentale da curare immediatamente anche contro la sua stessa volontà. Fu internato in un manicomio e sottoposto a ripetuti elettroshock al fine di liberarlo dall’influenza intellettuale, affettiva e psicologica di quel maestro “deviato”. Probabilmente questo è il film più politico in assoluto di Gianni Amelio. Non tanto in senso elettorale, bensì in senso stretto cioè nel significato etimologicamente più corretto della parola “politica”: una cosa riguardante i cittadini e l’amministrazione dello Stato. L’unico riferimento meramente partitico è rappresentato da una fugace apparizione di Emma Bonino a ricordare (sono le parole di Amelio) come il Partito Radicale fu l’unica forza politica a schierarsi apertamente per l’assoluzione di Braibanti. Nondimeno questa truce vicenda coinvolse la società nel suo complesso. Negli anni del boom l’economia correva a passo svelto ma la cultura bigotta e retrograda viaggiava ad una velocità molto inferiore. Per scandalizzare e gettare scompiglio nel mondo della scuola e/o della famiglia bastava ben poco. Gianni Amelio ha girato forse il film della vita. Quel film in cui mette in evidenza una vicenda ben poco conosciuta, di cui non è rimasta molta documentazione perché nessuno desiderava che ci se ne ricordasse. In realtà la sua visione scuote le coscienze con enorme vigore e intensità, indipendentemente che si sia su quella lunghezza d’onda o meno. Un film necessario? Si, anche e soprattutto in questo particolare momento storico. Sia chiara una cosa: Braibanti non viene santificato dagli sceneggiatori e, infatti, non ne vengono nascoste le debolezze né vengono smussati i suoi spigoli caratteriali. Tuttavia viene mostrata l’assidua determinazione delle istituzioni al fine di condannare quell’uomo “deviato” e di curarne l’allievo, vittima (secondo l’accusa) di plagio. Una cura, quella riservata al giovane, a cui la stessa madre lo spinge. È troppo difficile da sopportare l’idea di avere un figlio deviato; è molto più rassicurante saperlo nelle mani dei medici del manicomio che non hanno altri strumenti se non il lettino a cui legare il ragazzo durante i continui trattamenti elettrificati. Luigi Lo Cascio interpreta il ruolo di Braibanti mentre il giovane Leonardo Maltese (una vera sorpresa) è l’allievo “plagiato”. Interessanti anche le prove di due comprimari come Sara Serraiocco e, soprattutto, Elio Germano nel ruolo del giornalista che sposò la causa e si prodigò a favore di Braibanti. Vi state chiedendo se sia un film “bello” o “brutto”? Una risposta secca sarebbe troppo semplicistica ed inutile. È un film complesso, durissimo e spietato; non è perfetto ma necessario. Rimarrà nella storia perchè non risparmia quasi nessuno e punta dritto all’obiettivo che è quello, crediamo, di urlare al mondo ciò che tanti vorrebbero, anche oggi, nascondere sotto al tappeto.